Via di Rimaggina, 1932; Olio su tela, cm 70,5x50,5

Ottone Rosai: l'artista fiorentino universale

di Giovanni Faccenda

Fra attualità ed eternità

Ottone Rosai, artista italiano del Novecento non conosciuto ai più, originario del quartiere di San Frediano a Firenze. Al ritorno dalla Prima Guerra Mondiale, ormai senza più illusioni, si dedica a schizzi, disegni, realizzate in punti di ritrovo come sale da biliardo, caffè e osterie. Raffigura esemplari di una umanità che solo in quei luoghi si può trovare.

L’universalità delle opere di Rosai

I luoghi e gli uomini di Rosai appartengono a ogni latitudine. Una geografia di ordine soprattutto sentimentale, abitata da una persistente contrapposizione fra asprezza e bellezza, non deve essere considerata soltanto nella sua riconosciuta e riconoscibile identità, ovvero nella sterile individuazione di questo o quel dato scorcio paesistico: appaia, piuttosto, come pretesto, quale distinto riferimento ambientale, intimamente caro al Maestro, per rappresentare il senso più autentico e schietto di una condizione esistenziale che apparenta moltitudini di esseri umani sparsi ovunque.

Natura morta, 1952 circa, olio su tela, 38,1x55,5 cm
Natura morta, 1952 circa, olio su tela, 38,1x55,5 cm
Da Leopardi a Schopenhauer, passando per Firenze e la Grande Guerra: le influenze sulla visione della vita

Firenze, non quella delle cartoline o dei palazzi aristocratici, delle vie lussuose o degli angoli alla moda, bensì quella di case disadorne, strade e piazze più povere e umili di una città e un’umanità, altre, diversamente cresciute sulla riva sinistra dell’Arno, è dunque da intendersi come un fascinoso traslato universale, lo sfondo paradigmatico di una narrativa cosmica, anziché vernacolare, nella quale è dato di ascoltare l’eco del pessimismo di Leopardi e la rassegnata consapevolezza di un altro che aveva pianto disperatamente il suicidio del padre prima di lui, Schopenhauer, secondo il quale, inevitabilmente, «la vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia». Questa e altre cruciali certezze affondano in Rosai, di ritorno dalla Grande Guerra, «uomo fatto» nel cuore e nella mente, come un pugno nello stomaco, senza più illusione alcuna. Non ha bisogno di ulteriori stimoli affinché la matita, prima, e il pennello poi, definiscano «tipi» destinati a vincere la grande sfida con il tempo, a rimanere attuali anche in una contemporaneità, la nostra, contraddistinta da identici stati d’animo, analoghe trepidazioni, stenti taciuti e mendaci apparenze.

Figure al caffè, 1946, olio su cartone, 69,7x98,8 cm
Figure al caffè, 1946, olio su cartone, 69,7x98,8 cm
Il blocco di appunti come una terapia

La sua magnifica ossessione per la verità lo conduce, ancora giovanissimo, dove «l’inganno consueto» – per citare Montale – si celebra ogni giorno. Territori fecondi, in questo senso, sono le sale da biliardo, i caffè, le osterie: ambiti di ritrovo collettivo nei quali misurare temperature emotive agli astanti, frugando in loro quanto riposto oltre la corteccia superficiale di premonitrici posture.

Un’ansia irrefrenabile interviene in Rosai ogni volta che egli si trova al cospetto delle attese apparizioni: uomini che leggono il giornale, giocano a carte, tacciono muti. Per sedare un simile affanno, inevitabile è il ricorso al blocco di appunti che custodisce nel taschino. Terapeutico, per lui, risulta disegnare seguendo i fremiti che gli trasmettono gli occasionali modelli, scelti mai in modo casuale e, anzi, con singolare cura; spingersi oltre le fallaci parvenze di individui segnati da annose afflizioni e torride solitudini; esibire, in ultimo, sulla carta, dopo un ruvido e insistito scavo, condotto con stile anti accademico, il ritratto più veritiero di anonime creature con le quali, sovente, non ha neppure scambiato una parola.

 

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Al caffè, 1937, olio su tela, 75,5x65,5 cm
Al caffè, 1937, olio su tela, 75,5x65,5 cm