Carla Accardi a Roma
Al Palazzo delel Espozioni
Al Palazzo delle Esposizioni, la più completa retrospettiva mai dedicata alla grande artista, per celebrarne il centenario della nascita.
Il segno, con tutte le sue varianti, è sempre stato per Carla Accardi (1924-2014) una guida spirituale:
«Non è solo uno sfogo dell’inconscio, è espressione artistica e linguaggio. Un segno esiste in rapporto ad altri dal momento che forma con essi una struttura», disse.
Arrivata a Roma nel 1951, non usò mai il cavalletto. Dipingeva per terra e, più tardi, su un tavolo, per avere una relazione quanto più diretta possibile con la superficie del dipinto:
«La presenza del corpo era molto forte. Si sa, il percorso era: mente, braccio e segno».
Con i suoi segni Carla Accardi voleva rappresentare, inizialmente in bianco e nero, «l’impulso vitale che è nel mondo». Per celebrare il centenario della nascita dell’artista, cento opere, realizzate dal 1946 al 2014, sono esposte fino al 9 giugno nel Palazzo delle Esposizioni di Roma in quella che, curata da Daniela Lancioni e Paola Bonani con la collaborazione dell’Archivio Accardi Sanfilippo e il sostegno della Fondazione Silvano Toti, è la mostra più ampia e completa che sia mai stata dedicata a Carla Accardi. Il percorso espositivo include anche porzioni di allestimenti concepiti dall’artista, come la sala personale alla Biennale di Venezia del 1988, di cui mancano all’appello solo due opere. Sono lavori di grande formato, come Animale immaginario 1, dipinto l’anno prima, che rappresentano una sintesi di altissimo livello della produzione degli anni Ottanta e sono caratterizzati da una stupefacente forza espressiva.
Cosa significa il segno di Carla Accardi
Quello della Accardi, come spiega Daniela Lancioni, è
«un segno identitario: sono segni inventati che le appartengono e può convocare a suo piacere. Carla Accardi dà loro senso accostandoli gli uni agli altri, intrecciandoli, sovrapponendoli, creando ritmo e movimento e, soprattutto, contrasti che poi destina a forme diverse di integrazione. Sono segni che mutano nel tempo, dapprima forme arcaiche, poi biomorfiche, in seguito semplificate e ripetitive, fino alle più recenti metamorfosi dove i segni degli anni Cinquanta sono ingigantiti, parcellizzati e reinterpretati in molti modi diversi. Sono i segni a determinare lo spazio, sia esso il fondo della tela o quello reale, abitabile, dei suoi ambienti».
Opere, spazio e ambienti di Carla Accardi
Carla Accardi concepiva il rapporto tra l’opera e lo spazio con una libertà estrema, scardinando le convenzioni e inaugurando nuove pratiche. A Roma sono esposti, insieme ai quadri, anche gli ambienti, che hanno precorso i tempi a partire da entrambe le tende realizzate dall’artista, quella del 1965-1966 e la radiosa Triplice tenda del 1970-1971, un grande ambiente dipinto prestato dal Centre Pompidou di Parigi. Sono spazi abitabili e attraversabili anche la Casa-Labirinto del 1999-2000 e il Cilindrocono, del 1973-2013.
Per Paola Bonani le tende
«sono le opere più emblematiche e impegnative della ricerca tra la metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Sono composte da fogli di sicofoil dipinto e strutture in plexiglas. L’intento era di occupare con la pittura uno spazio, far muovere la pittura nell’ambiente, circondando completamente l’osservatore, rendendo forse fisicamente percepibile il carattere nomadico cui fa riferimento anche la scelta della tenda, nella continua trasformazione del linguaggio e della pittura».
Nelle sale del Palazzo delle Esposizioni si parte da un Autoritratto del 1946 nel quale è evidente, nella postura, un richiamo al celebre autoritratto di Raffaello, e dai primi oli su tela dei tempi del gruppo Forma 1, come la Vista su campo da tennis dipinta nel 1947 da un’Accardi poco più che ventenne. L’opera, pubblicata in bianco e nero sulla rivista del gruppo (Forma) e fin qui mai esposta, è accompagnata dalle Scomposizioni, dello stesso anno, e dalle tempere su carta che l’artista espose, nel 1951, nella sua prima personale alla libreria-galleria L’Age d’or di Roma. I primi dipinti in cui appaiono i segni che caratterizzano la sua poetica sono del 1954: il Grande grigio bianco, proveniente dallo Csac di Parma, e il Materico con grigi, prestato dalla Gam di Torino, mostrano un’artista appena trentenne che ha già trovato la strada della maturità e uno stile immediatamente riconoscibile.
Nasce in quegli anni la sua originale definizione del segno, accompagnata dalla scelta radicale del bianco e nero in dipinti anche monumentali come la Grande integrazione del 1957 (cm 132,4x263,8) prestata dal Museo del Novecento di Milano. Seguono, qualche anno dopo, l’iridescente apparizione del colore e la sperimentazione di materiali nuovi e industriali come il sicofoil, che le offrì l’opportunità di far apparire nella composizione dell’opera anche il telaio, come in A Gent abbiamo aperto una finestra, del 1971-1986, realizzato in occasione della mostra Chambres d’amis, quando gli artisti invitati collocarono i loro lavori all’interno di case private di amici e collezionisti del Van Hedendaagse Museum (oggi Stedelijk) di Gand, in Belgio. Ma è il caso anche dei Trasparenti, quadri indubbiamente innovativi presenti nella mostra romana con lavori realizzati tra il 1974 e il 1977.
Carla Accardi, Forma, il comunismo e il femminismo
Con i primi compagni di strada di Forma, Dorazio, Consagra, Perilli, Attardi, Guerrini e Sanfilippo, Accardi voleva cambiare il mondo con l’astrazione e il marxismo che, come spiega Lancioni,
«ha irrorato i suoi anni giovanili. La sua iniziale adesione al partito comunista e all’ideale di giustizia sociale credo abbia segnato la postura del suo intero lavoro spingendola anche verso la militanza femminista alla quale, com’è noto, l’artista ha dato un contributo importante. Credo anche, però, che Carla Accardi non abbia mai imposto alle sue invenzioni visive alcun contenuto, né le abbia mai asservite al discorso politico».
Nel corso del tempo l’artista non smetterà mai di rivisitare i suoi segni, frammentandoli, dilatandoli, ingigantendoli, fino ai due dipinti che chiudono la mostra con un ultimo squillo, Imbucare i misteri e L’ordine inverso, entrambi del 2014. Per Paola Bonani «le opere più significative sono quelle in cui l’artista è riuscita a far convivere il suo amore per la pittura con l’idea, per lei altrettanto importante e opposta, di anti-pittura, senza per questo raffreddarsi, ma mantenen-do una costante energia espressiva. Come per esempio negli Arcieri, nelle Integrazioni e nei Labirinti.
Questo approfondimento è tratto dal n. 608 di Arte. La rivista di arte, cultura e informazione è acquistabile in edicola o sul sito di Cairo Editore.