Donne e arte: la strada verso l'emancipazione
L'emancipazione della donna nell'arte
Molto spesso si sente parlare delle donne nell’arte come muse ispiratrici di opere immortali o come soggetti nei ritratti di donne nell'arte.
Il mondo dell’arte è un universo maschile, in cui si concentrano dispute culturali a scapito di una realtà di genere che nei secoli ha affiancato silenziosamente l’infinito spazio artistico e culturale, affidato per diritto di nascita agli uomini.
Già nella Bibbia la questione uomo-donna preannunciava una serie di intricate scommesse secolari su chi avrebbe ottenuto un primissimo piano nelle Genesi:
“Dio il Signore fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. Dio il Signore, con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo” (Gen. 2, 21, 22).
L’uomo come l’artista unico e solo che plasma una figura femminile per avere compagnia nell’Eden. Un ruolo di comprimarie ante litteram, dunque. Una figura statica, quella della donna, che trova difficoltà a ritagliarsi uno spazio piccolissimo nella vita di tutti i giorni. Basta dare una rapida occhiata ai libri di storia per ricordarci in quale angolo fossero relegate le donne: angeli della casa, custodi del fuoco sacro, ancelle, madri, mogli, sorelle, figlie. Passeranno molti secoli prima che la donna possa affrancarsi da quell’immagine dipinta che non le conferiva nessun posto nel mondo se non a fianco dei propri uomini.
La realtà però è ben diversa: le artiste donne sono sempre esistite, pensiamo alle artiste greche come Iaia e Aristarete, ma è solo a partire dal 1500 che iniziano a circolare i primi lavori di alcune donne artiste. Durante il Medioevo le donne artiste lavoravano, ed erano apprezzate e citate, nell’ambito della miniatura di manoscritti. Pensare a una donna che dipinge o scolpisce in una bottega era un’idea fuori dalla logica del tempo e della morale. La storia delle donne però è fatta di piccoli passi, il cui eco risuona ancora ai nostri giorni. Passi pesanti, fatti da piccoli piedi che con sacrificio hanno camminato sino a oggi, dove ancora le donne chiedono a gran voce uguaglianza e parità.
Arte e femminismo
Spesso questa richiesta di diritti è stata scambiata per femminismo integralista. Parlare di femminismo è come camminare sui carboni ardenti, sia dal punto di vista storico che culturale. La parola femminismo, così come il Movimento che esso rappresenta, custodisce intrinsecamente due facce, come quelle delle dee dell’antichità: amore e guerra. Amore per il progresso, per l’equità, per il basilare diritto di essere e di valere qualcosa; al tempo stesso guerra, battaglia senza sosta per rivendicare l’ovvietà di esistere e di contare, quell’“hic et nunc” che da secoli viene rivendicato. Solo alle donne poteva essere tributato l’onore di avere due facce. Solo le donne potevano avere la bilancia della giustizia e dell’equità. Quella della emancipazione è però una storia scritta da uomini per altri uomini, proprio quando alle donne non era concesso di imparare a leggere e a scrivere.
Di femminismo si parla già durante la Rivoluzione francese, con grandi pensatrici come Olympe de Gouges, pseudonimo di Marie Gouze, ed Etta Palm d’Aelders. Siamo alla fine del Settecento, ma la storia e le cronache di quel tempo riguardano solo politica. Nessuno guarda ancora con interesse al mondo dell’arte femminile. Eppure, sono diversi anni che l’arte non è più solo una prerogativa maschile. Quando si parla di donne nell’arte, però, spesso si sottolineano interrogativi di genere piuttosto marcati. La domanda più ricorrente è: “Sono esistite grandi artiste donne?”. Già utilizzare il termine artista donna lascia trasparire un certo scetticismo sulla questione. È necessario affiancarvi il genere ogni qualvolta si cita un’artista?
Per leggere di più sul concetto di "Grandi artiste donne" leggi questo approfondimento
Donne in arte: le difficoltà ad accedervi e a diventare artiste donne famose
La riflessione certo è più ampia. Donne artiste universalmente riconosciute spesso si sono giovate di situazioni mediatiche importanti ma solo ai giorni nostri. Penso a Frida Kahlo, che negli ultimi anni è divenuta icona indiscussa di giovani generazioni che spesso però ignorano la vita e l’arte della grande pittrice messicana. Tutti la saprebbero riconoscere, in pochi saprebbero citare anche solo una delle sue opere d'arte, o citare aneddoti sulla sua vita. Andando a ritroso nel tempo le cose peggiorano. In pochissimi conosco il genio di Artemisia Gentileschi e le sue opere come Giuditta e Oloferne, e ancora di meno artiste già considerate dalla critica “di nicchia”. Alcuni studiosi negli anni hanno approfondito le cause di questa mancata passione per le opere di artiste donne. Molti sono stati gli studiosi, guarda caso uomini, che hanno approfondito il carattere antropologico di questo mancato successo. Una delle teorie più praticate è quella che vede il successo come il prodotto dell’ambiente in cui si cresce, con le influenze dettate dalla società: mi viene in mente che in molti Stati l’accesso delle donne nelle Accademie non fu così naturale e immediato. Inoltre, nell’immaginario comune, l’artista era percepito come un’icona sociale maschile. Insomma, il successo dell’uomo è di matrice biologica, secondo molti pareri. Lo stereotipo di cui sono vittime le donne, in genere da sempre, si accentua nel mondo dell’arte, soprattutto nell’Ottocento quando la retorica vittoriana voleva che alle donne spettasse “il gusto” e agli uomini “il genio”. La storia di una “apartheid” di genere è ricca di aneddoti sconfortanti.
La verità è che le donne da sempre, in ogni ambito, hanno dovuto ritagliarsi con fatica un posto nel mondo. Un pensiero interessante è quello della pittrice Grace Hartigan, secondo la quale alle artiste con un talento “fuori dal comune” le porte sono sempre state aperte; la vera rivoluzione, secondo la Hartigan, è rivendicare il diritto a essere mediocri, come succede agli uomini. È stata proprio la questione legata al talento uno dei più grandi ostacoli all’accesso delle donne nell’arte. In realtà, a ben vedere, quello che forse ha pesato maggiormente nella questione arte e donne è stata la mancata opportunità di accedere, per esempio, alla formazione, alle scuole, alle botteghe di artisti.
La presenza crescente del ruolo delle donne nell’arte si scontrò, nell’Ottocento, ma è ancora oggi un’abitudine dura a morire, con il ruolo secolare della figura della donna. Uno degli ambiti artistici più difficili in cui trovare posto per le donne fu la scultura, tecnica dalla quale le donne furono praticamente escluse, non tanto per una questione legata alla fatica della lavorazione dei materiali, ma perché le donne non potevano prendere lezioni di studio del nudo e di anatomia. Questo fu un fenomeno che resistette fino alla fine dell’Ottocento.
Un’artista che cercava di entrare nel mercato delle arti o che entrava in un’Accademia stava dando vita ad un nuovo modello di donna. In questa volontà di cambiamento c’era tutta l’aspirazione verso una parità di genere che partiva dalla parificazione di opportunità. Uno degli ostacoli maggiori che la società opponeva a questa ascesa era che l’artista veniva elevato a rango di intellettuale; egli poteva studiare, viaggiare, confrontarsi con altri intellettuali. Alle donne, ancora una volta, il rango di intellettuale non si addiceva per i canoni di quel periodo. Essere una donna artista del Settecento voleva dire avere una professionalità, un titolo. Questa situazione fu aggravata dall’accesso negli istituti e nelle Accademie che dovevano servire per selezionare artisti talentuosi per lavorare nelle corti. È pur vero che aver frequentato un’Accademia non sempre si rivelò sinonimo di talento, ma in tutta Europa, nel continente delle corti, l’accesso all’istruzione accademica per le donne era pressoché nullo. Il ruolo delle Accademie determinò una battuta d’arresto in quello che poteva sembrare l’inizio di una rivoluzione. Basta pensare che in Francia per tutto il 1700 solo gli artisti delle Accademie potevano esporre e vendere le proprie opere. Dunque, l’ennesimo escamotage sociale e politico per tenere lontane le donne dal mercato dell’arte.
Sembrò incredibile che, alla sua nascita, la British Royal Academy avesse tra i suoi fondatori due donne, Angelika Kauffmann e Mary Moser. Le due artiste però avevano solo un ruolo onorario. Non prendevano parte né alle decisioni, né alla didattica; insomma a loro era preclusa ogni forma di attività. A raccontare bene questa pesante esclusione resta l’opera di Johann Zoffany intitolata The Academicians of the Royal Academy, in cui è palese l'esclusione delle due donne durante una riunione di accademici, appunto. Nell’opera si vedono due dipinti sulle pareti: sono i ritratti della Moser e della Kauffmann. Una magra consolazione dunque. Membri non rappresentativi ma oggetti d’arte, ancora. In Francia, per scoraggiare l’ingresso nelle Accademie delle donne si decise di diversificare la retta. Secondo alcune ricerche fatte già nel 1887, prendendo come metro di misura la prestigiosa Académie Julian, venne fuori che frequentare i corsi accademici costava 300 franchi agli uomini e 700 alle donne.
Al contrario di quello che succedeva nel resto d’Europa, l’Italia ebbe, sin da subito, un diverso atteggiamento. Le donne artiste italiane furono ammesse nelle Accademie molto prima rispetto agli istituti stranieri. A Brera, per esempio, l’ammissione a pieno titolo esisteva già nel 1800. L’Accademia di San Luca aveva addirittura bruciato le tappe con l’ammissione di donne artiste già tra il Seicento e il Settecento come Giovanna Garzoni e Rosalba Carriera. In Italia la vera svolta si ebbe però nel 1870, quando alle donne venne data l’opportunità di accedere agli istituti superiori. Questo significava che si apriva uno spiraglio per quante desideravano poter insegnare disegno. Dunque una doppia strada: quella prettamente artistica e quella lavorativa, tramite l’insegnamento. Ma non è tutto: a Firenze tra il 1890 e il 1900 furono organizzate tre mostre di sole artiste donne. Una rivoluzione quella italiana? In realtà non ci fu mai una specifica attenzione rispetto alla questione dell’accesso accademico. Successe e basta, in un clima in cui non si discuteva di parità di genere. L’arte era sempre e comunque un affare da uomini. Questo mancato interesse, che poteva sembrare una scelta in controtendenza, in realtà nascondeva disinteresse per la questione, ma innescò invece una reazione a catena in cui l’accesso ai corsi di studio lasciava uno spiraglio per intraprendere una carriera nel mondo dell’arte.
Donne artiste contemporanee
Oggi, invece, si assiste a un ribaltamento di posizioni: le donne restano in una zona arretrata rispetto alla fama degli artisti uomini, ma cresce la notorietà di alcune artiste donne contemporanee che hanno rivoluzionato il concetto stesso di arte. Artiste italiane, artiste americane, artiste straniere di fama mondiale, come Diane Arbus, Tina Modotti, Dorothea Lange, Georgia O’Keeffe, Vanessa Beecroft, fanno il tutto esaurito nelle mostre a loro dedicate. E che dire delle performance artistiche di Marina Abramović? Un caso che ha avuto un grande risalto è stato quello della fotografa statunitense Vivian Maier, esempio eclatante di notorietà postuma. Una street photographer ante litteram che ha trasversalmente interessato grande pubblico e critica.
Leggi qui del legame tra donne e fotografia.
Prima di arrivare ai giorni nostri, in cui l’arte può confrontarsi all’interno della piattaforma più democratica che esista, i media, ci sono state donne pioniere di questo universo incerto e misogino. Donne che riscopriamo solo ora, grazie alle retrospettive, alle immagini iconiche di alcune opere, ai film, ai libri. Esiste un mondo di interessanti biografie di donne artiste che hanno dato il loro contributo alla causa. Si sono fatte strada fra lo scetticismo e la morale di epoche in cui donna e artista sembrava un ossimoro. Si sono concesse la libertà di rompere gli schemi, di usare le botteghe paterne come trampolino di lancio per la loro creatività. Hanno prodotto, creato, combattuto e hanno aperto la strada a una generazione di artiste solide che si sono potute cimentare con ogni forma d’arte, dalla pittura alla scultura, fino alla fotografia e alla regia, come un naturale continuum artistico che vede una trasformazione del ruolo delle donne all’interno dell’arte. Esse si sono passate quel testimone immaginario che ha concesso, nei secoli, ottimi spazi di manovra per crescere e per confrontarsi alla pari. Ciò che sembra più evidente, a partire dal Novecento, è che quella voglia di avere una tavolo comune con gli uomini con cui confrontarsi è oramai una storia vecchia. Oggi le artiste donne viaggiano su un binario diverso dagli uomini, non migliore o peggiore, solo diverso, originale, autonomo. Si sono affrancate da quelle botteghe, dalle ultime file nelle Accademie.
Quella delle donne nell’arte è una storia che tocchiamo con mano ogni giorno e che punta i riflettori sulla volontà di cambiamento e su quel “genio” che da secoli ormai non è più appannaggio solo degli uomini. Forse, andando a ritroso nelle affermazioni fatte fin qui, è vero che la società qualifica un certo tipo di doti. Dunque se la società evolve, diventa inclusiva e aperta, esisterà un diverso approccio alla cultura e all’arte e quindi alla crescita morale di ogni cittadino. Arte e società si compenetrano quindi, fornendo possibilità e genio, condivisione e senso estetico. La storia dell’arte non mancherà mai di ricordarcelo.