L'Arte Povera alla Triennale di Milano
Il rapporto tra corpo e tecnologia negli anni ’60 e ’70
Non solo terra, ferro, legno, stracci o materiali di recupero: gli artisti dell’Arte povera hanno spesso fatto uso della fotografia, del cinema e del video nei loro lavori, con esiti complessi e affascinanti. L’esposizione milanese Reversing the eye mette proprio in luce il rapporto tra gli autori di questo movimento ormai storicizzato con i media tecnologici, “rovesciando” il modo in cui guardiamo all’arte degli anni Sessanta e Settanta.
Raccogliendo oltre 250 opere di 49 artisti diversi, Reversing the eye è innanzitutto il risultato della fruttuosa collaborazione fra Triennale Milano e le istituzioni parigine Jeu de Paume e LE BAL. I curatori Quentin Bajac, Diane Dufour, Giuliano Sergio e Lorenza Bravetta hanno ideato un percorso espositivo audace, dove accanto a opere-manifesto dell’Arte povera, come Mappamondo di Michelangelo Pistoletto, figurano le installazioni video di Fabio Mauri, o anche gli autoritratti fotografici di Giulio Paolini e Giuseppe Penone (proprio al suo Rovesciare i propri occhi si ispira la mostra). Se nel 1967 il critico Germano Celant coniò l’espressione “Arte povera” per identificare opere realizzate con materiali essenziali o poco lavorati, in contrasto con la celebrazione merceologica della Pop art, è anche vero che questo ritorno alla materia si espresse attraverso un diverso rapporto tra il corpo dell’artista e i nuovi media. Spesso contaminate con la performance, le sperimentazioni video e fotografiche che costellano la mostra ci appaiono come astri lontani ma ancora incandescenti e in grado di gettare luce sul presente, prefigurando quel che oggi ci sembra inevitabile: la sempre più labile separazione tra corpo e tecnologie – assunte ormai a protesi della nostra persona –, il mondo “rovesciato” in pura immagine.
REVERSING THE EYE. FOTOGRAFIA, FILM E VIDEO NEGLI ANNI DELL’ARTE POVERA.
Milano, Triennale (www.triennale.org).
Fino al 3 settembre.