Le segrete esistenze di Armodio
Dentro la pittura di Armodio
Un viaggio all'interno dell'arte di questo impareggiabile Maestro, che continua a stupire e ad affascinare grazie alla natura della luce che egli inventa.
La frequenza con la quale, negli ultimi anni, mi è stato concesso di scrivere sulla pittura di Armodio ha favorito una visione della medesima un po’ più approfondita, almeno – s’intende – per quanto concerne questo specifico arco di tempo, ove, talvolta, sono tornate luminosamente a emergere, con singolare e più essenziale adattamento creativo, varianti tematiche di rilevante pregio. Questi geniali adeguamenti, risolti in un ordine iconografico pervaso dalla consueta aura metafisica, uniti a una meditata varietà di motivi inediti, hanno di fatto ampliato la prospettiva filosofica di un percorso pittorico fra i più alti, ingegnosi e cospicui dell’arte moderna e, ovviamente, di quella contemporanea. Di questo impareggiabile Maestro, che continua a stupire e ad affascinare un sempre crescente numero di estimatori sparsi a ogni latitudine, insisto a indagare, soprattutto, la natura della luce che egli inventa. Tra i vari enigmi, deliziosamente fecondi in tutta la sua opera, questo della luce resta il più complicato da svelare: vi aleggia, infatti, non soltanto l’abilità manuale e l’estro immaginifico di un pittore virtuoso quanto i sommi del nostro Quattrocento; conserva – la luce, appunto, la luce tipica di Armodio – il languore che hanno le nebbie padane e, insieme, il tepore di certi focolari domestici, intorno ai quali, un tempo, adulti e bambini si riunivano a sera per ascoltare i racconti, sussurrati con un filo di voce, di qualche affabulatore seducente. Armodio ha indubbia dimestichezza con la realtà altra del mondo invisibile. Ne conosce i fremiti, gli abissi imperscrutabili, le sibilline manifestazioni. Sa che non vi è stasi, se non apparente, in tale universo parallelo, perché le cose hanno un’anima e un moto proprio che consente loro prodigi straordinari.
Miracoli della pittura. Abituato a meditare per immagini, Armodio è solito distillarle come un paziente alchimista, facendo germinare oscure propaggini latenti sotto la loro stessa pelle. Metafisica delle cose? Fino a un preciso, determinato limite. Dacché Armodio ha cominciato a elucubrare luoghi (un omaggio alla rinascimentale Città ideale conservata a Urbino?), inseriti naturalmente nei suoi personalissimi contesti, si è subito allargata l’angolatura mentale di spazi ora abitati da un’improvvisa novità di anime: balenano, nella mente, i porticati metafisici di Giorgio de Chirico, ma sono reminiscenze, pretestuose e incongruenti, di fronte a un pittore – Armodio –, dal talento ineguagliabile, illuminato a tal punto da offrirci, in un periodo peraltro generoso di eccellenze, un capolavoro assoluto qual è Nella torre (2010). Nella sobria eleganza di una struttura arcaica, aleggia, ammaliante, la quintessenza della sua pittura. La luce è d’incanto; ora irradia ora attenua l’accentuato rigore dei volumi disposti su un piano orizzontale lieve come un tessuto pregiato, dalle cui viscere, astrusi e imminenti, sorgono un minuscolo cono rosso e una tortuosa via d’accesso: verso la torre o verso l’ignoto? Ci è caro pensare che la verità di Armodio abiti, armoniosa, questa dimora. Vi regna certamente la sua inclinazione estetica, il rifiuto all’orpello, il riverbero dell’impegno che innerva tante apollinee figurazioni, sospese in una condizione atemporale ove, ermetica, prospera un’intonazione lirica affine a quella di Morandi, Foppiani e Gnoli (Anatomia dell’onda, 2009, Il dolce rumore del tempo, 2009, Più o meno, 2014).
Si susseguono, ebbre di estro, alcune eccentriche apparizioni antropomorfe (La poltrona del principe, 2010) che risvegliano repentinamente nella memoria una serie di stravaganti ritratti – se proprio così li vogliamo definire – realizzati da Armodio fra il 1982 e il 1983, a testimonianza di un organico itinerario espressivo e di una fase evidentemente estesa oltre quella corrente. Arduo, davvero, aggiungere altro. Ma non certamente per Armodio, a giudicare da taluni magistrali dipinti che egli ha portato a compimento nei suoi cicli creativi pirecenti. L’incantesimo non si è rotto; prosegue, al contrario, esibendo i frutti di una stagione mirifica e di un’urgenza che continuerà a stimolare questo impareggiabile pittore – è sicuro – in tutte le sue operose giornate a venire.