Ottone Rosai
Studia prima all’Istituto di arte decorativa di Firenze, poi all’Accademia di Belle Arti, che però non termina.
La produzione dei primi anni Dieci è alquanto frammentaria e oscilla tra riferimenti postimpressionisti e gusto liberty. Successivamente si accosta al Futurismo, anche se le sue composizioni rivelano una maggiore dipendenza dagli schemi cubisti, appresi attraverso la lezione di Ardengo Soffici. Negli anni Venti l’indagine spaziale e la riflessione plastica dei suoi lavori è per certi versi affine alle visioni di Carlo Carrà, col quale condivide peraltro il recupero del linguaggio trecentesco e quattrocentesco toscano. In questi anni dipinge una serie di soggetti, contraddistinti da una figurazione essenziale, in chiave primitivistica, ben lontana dal monumentalismo novecentista. A partire dagli anni Trenta si avvia verso un rinnovamento della gamma cromatica attraverso ricerche coloristiche più sofisticate.
«La pittura come il disegno di Rosai hanno continuato a suscitare uno stupore che insiste oltre l’approccio visivo, cagionato, diresti, dal riconoscimento di tensioni e sentimenti analoghi a quelli ricorrenti nella nostra contemporaneità. Soprattutto l’eloquenza del segno, la sua capacità di andare al fondo di cose, luoghi e uomini con esiti sorprendenti, rivela, se non una oscura chiaroveggenza, la visione profetica di un artista percorso da urgenze sottopelle, improvvise palpitazioni, scoperte inquietudini, che partecipano l’angoscia e il disincanto di chi avverte come un disperato percorso la vita, da affrontare con la rassegnazione necessaria che occorre a chi è vittima di un tale sconfortante destino. Il tratto nero, sgorgato come sangue dal cuore e definito con virtuosismo dalla mano, scolpisce il volto emblematico di coloro che hanno la ventura di sopravvivere» - Giovanni Faccenda
Per un approfondimento sull'artista: il saggio di Giovanni Faccenda